LA NOTTE NEL CUORE ANTICIPAZIONI: TAHSIN RICORDA L’IMPOSSIBILE E LO SALVA!
Nel nuovo, esplosivo episodio di La Notte nel Cuore, il confine tra verità e inganno si infrange in un vortice di ricordi sepolti, tradimenti e rivelazioni che cambiano tutto. Tassin — l’uomo che aveva dimenticato, l’uomo che aveva perdonato — ora ricorda. E ciò che riaffiora dalle nebbie della memoria è un incubo che ribalta ogni alleanza, ogni certezza, ogni illusione.
L’episodio si apre in un’atmosfera soffocante, quasi irreale. Tassin è solo, chiuso nel silenzio della sua stanza, mentre la sua mente si contorce tra brandelli di memoria e lampi di dolore. Il suo sguardo è perso nel vuoto, ma dentro di sé qualcosa si muove: un ricordo, un’immagine lontana, una voce che ritorna. Serat, il suo uomo di fiducia, il fratello d’armi, colui che gli aveva salvato la vita — o almeno così aveva creduto — inizia ad assumere un volto diverso. Un volto che nasconde paura, menzogna e colpa.
Tutto comincia con un rifiuto. Serat, l’uomo che Tassin desiderava affrontare, gli nega un incontro. “Come sarebbe a dire che non vuole vedermi?” esplode Tassin, incapace di comprendere la freddezza improvvisa. Ma dietro quell’apparente presa di distanza, si cela un segreto terribile: la verità su quella notte maledetta nella foresta, la notte in cui Tassin fu colpito, tradito e lasciato morire.
La tensione cresce, inarrestabile. Tassin, ostinato, licenzia Baris, il figlio che voleva accompagnarlo per protezione, e decide di affrontare tutto da solo. “È solo una cena,” dice, fingendo calma. Ma nei suoi occhi brilla la paura — una paura che non sa ancora spiegare. È come se il suo cuore avvertisse un pericolo che la mente rifiuta di ricordare.

La scena cambia. Una foresta, la notte, il silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie. Tassin cammina nell’oscurità, confuso, smarrito. “Perché sono qui? Cosa devo fare?” si domanda, mentre la sua memoria lo abbandona, lasciandolo prigioniero di un oblio crudele. Quel vuoto mentale è la sua condanna: non sapere chi gli ha sparato, non sapere perché. Tutti gli hanno detto che Serat l’ha trovato, che gli ha salvato la vita. E lui ci ha creduto. Lo ha persino ringraziato. “Ti devo la vita,” gli aveva detto, con una gratitudine sincera e cieca.
Ma ora, qualcosa cambia. Nel letto d’ospedale, dopo giorni di confusione e incubi, Tassin ha un flash improvviso. Un dettaglio. Un ricordo che riemerge dal profondo: un lampo di metallo, un colpo, un volto noto. Serat.
Il sangue gli si gela nelle vene. La verità, quella che il suo cervello aveva cercato di seppellire per proteggerlo, torna con violenza devastante. E con essa, la rabbia.
Quando Serat viene convocato dal procuratore, la tensione è palpabile. L’uomo, fino a quel momento considerato un eroe, si trova improvvisamente davanti all’abisso. “La tua dichiarazione è falsa,” gli dice Tassin, gelido, mentre la stanza si riempie di un silenzio pesante come il piombo. Serat sbianca. Tenta di difendersi, di spiegare, ma le parole gli muoiono in gola. “Capo, vi giuro, non ho fatto niente!” implora. Ma Tassin lo interrompe, la voce rotta dalla delusione:
“Hai lavorato al mio fianco per anni, hai mangiato il mio pane… e mi hai sparato alle spalle.”
Le prove si accumulano. La pistola usata per ferirlo è la sua. Nessuno sapeva dove fosse, tranne Serat. Le sue menzogne si sgretolano una dopo l’altra, mentre il procuratore lo incalza con spietata lucidità. “Hai fatto la guardia del corpo di Tassin per anni e non riconosci la sua pistola? Davvero?” chiede con tono accusatorio. Serat balbetta, sudato, pallido. “Non l’ho mai vista prima,” mormora, ma la sua voce non convince più nessuno.
Poi arriva la confessione. In un momento di disperazione, schiacciato dal peso della colpa, Serat crolla. “È stato un incidente!” grida, con le lacrime agli occhi. “Non volevo… Ho visto la macchina nella foresta, ho pensato fosse un agguato. Ho sparato. Non sapevo che foste voi, capo!”
Ma le sue parole, anche se sincere, non bastano più. Tassin non sente più compassione, solo rabbia. La rabbia di chi ha amato e si sente pugnalato nel cuore.
Il racconto di Serat diventa una confessione tragica: dopo lo sparo, preso dal panico, ha cercato di cancellare le tracce, di far sparire tutto. Ha sparato al finestrino, pulito il sangue, e poi lasciato il corpo credendo che gli animali avrebbero finito il lavoro. Un atto di vigliaccheria e paura che lo condanna definitivamente.