LA FORZA DI UNA DONNA Muore Hatice: tragedia in ospedale, Şirin urla e aggredisce Arif È colpa tua!”

Una notte di follia, urla e sirene spezzano il silenzio di Istanbul. All’ospedale, tutto precipita in un vortice di dolore. Şirin entra di corsa, i capelli sciolti, il viso bagnato di lacrime, come se la paura l’inseguisse dentro. Quando vede la dottoressa Yale, la voce le si blocca in gola. “Dov’è mia madre?”, sussurra. Ma la risposta è una condanna sospesa: Hatice è in sala operatoria. L’intervento è difficile, e ogni secondo pesa come un macigno.

Mentre le parole di Yale cadono nel vuoto, Şirin sente il mondo collassare. Suo padre, Enver, non regge la notizia: è stato sedato dopo aver avuto una crisi di pianto. E proprio allora, nel corridoio, appare Arif in sedia a rotelle. Gli occhi di Şirin si riempiono di furore. Le gambe le si muovono da sole: corre verso di lui, lo colpisce, lo accusa di tutto. “Perché tu sei vivo e mia madre sta morendo? Hai distrutto Bahar, hai distrutto Sarp, e ora anche lei!” Gli infermieri intervengono, ma lei è incontenibile, una tempesta di rabbia e paura.

Enver, risvegliatosi dopo ore di sedazione, chiede di vedere Arif accanto a sé. Vuole perdonare, non odiare. Ma Şirin esplode di nuovo: “Papà, no! Non puoi dormire accanto a chi ci ha rovinati!” Yale la ferma con voce tagliente: “Tuo padre è debole. Se lo stress lo uccide, perderai anche lui.” Per la prima volta, Şirin tace. Lo sguardo vuoto, le mani che tremano. Poi esce nella pioggia, corre senza meta, inseguita da Emre che la implora di fermarsi. Ma lei non sente. Solo il rumore dei freni che stridono e un urlo nel buio.

Intanto, in ospedale, Arif viene messo nel letto accanto a Enver. Şirin gli chiede scusa, gli occhi lucidi. Arif, confuso, dice di non ricordare nulla. Forse sì, forse è colpa sua. Enver, stremato, chiede solo di sapere dei bambini. Yale gli racconta che Ceyda è sparita, e il piccolo Arda è scomparso. Nissan e Doruk, lasciati soli, non sanno cosa sta succedendo. Enver ordina a Şirin di tornare a casa, di prendersi cura di loro, e di non dire nulla. “Dì solo che torneremo presto,” le sussurra.

Nel frattempo, Kismet riceve una chiamata. È Yusuf, il padre di Arif: un testimone ha detto che suo figlio ha passato col rosso. Kismet propone di pagarlo per farlo tacere. Yusuf stringe i denti, la rabbia e la paura gli scavano il volto. Intanto, la notizia del tragico incidente esplode sui notiziari: tra i feriti gravi c’è la scrittrice Fazile. Nella sua villa silenziosa, suo figlio, un uomo disabile, fissa lo schermo tremando.

All’ospedale, Enver trova il coraggio di andare nella stanza di Fazile. Le dice che anche la sua famiglia era su quell’auto, che voleva solo augurarle guarigione. Ma la donna lo respinge con freddezza: “Vattene.” L’uomo abbassa lo sguardo, troppo distrutto per replicare.

Nel frattempo, alla stazione di polizia, Ceyda ed Emre implorano notizie di Arda. Ma nessuno sa nulla. Chilometri più lontano, un camionista trova il bambino nascosto tra le casse del rimorchio. È coperto di polvere, muto per lo shock. L’uomo lo sfama, ma teme di chiamare la polizia. Lo lascia in un campo di girasoli, indicandogli la città in lontananza: “Vai, lì troverai la tua mamma.” Arda cammina da solo, piccolo e spaventato, nel silenzio dei fiori gialli che sembrano osservare la sua solitudine.

A casa, Şirin è fuori di sé. Chiama Enver, ma risponde Arif. “Dov’è mia madre?! È uscita dall’operazione?!” Lui prova a calmarla, ma lei urla, lo maledice, promette che se Hatice morirà, lo farà pagare. Poi scaglia il telefono a terra e crolla in lacrime. Nella stanza accanto, Nissan e Doruk cantano piano per coprire le sue urla.

In sala operatoria, Hatice lotta tra la vita e la morte. Il suo cuore rallenta, il monitor impazzisce. Nella mente, sogna una collina sul mare, vede Şirin vestita di bianco che si getta nel vuoto. Prova a fermarla, ma non ci riesce. Il suo cuore si ferma. Nello stesso istante, Enver, nella sua stanza, sente un dolore lancinante al petto. “La sento… qualcosa non va…” mormora, con le lacrime agli occhi.

A casa, i bambini non riescono a dormire. Doruk dice che vuole andare da Ceyda, ma Şirin lo ferma nel corridoio. Gli sussurra, gelida: “In questa casa ci sono mostri pronti a ucciderti se provi a scappare.” Nissan la chiama psicopatica. Şirin li manda a dormire con lo sguardo di chi ha perso ogni confine.

Nel frattempo, in macchina, Ceyda prega di ritrovare suo figlio. Quando finalmente lo vede, nel campo di girasoli, corre urlando. Lo stringe a sé con un grido che squarcia il cielo. Arda è salvo. Ma la nonna, Gülten, le nega anche solo un abbraccio. “Non sei la madre di nessuno,” le sputa addosso. Le parole le tagliano il cuore.

In ospedale, Bahar si risveglia. Il viso pallido, la voce tremante. Chiede di sua madre. Enver non trova il coraggio di dirle la verità. “È solo stanca, tornerà presto.” Bahar sorride, poi chiede dei bambini. Enver mente ancora: “Sono a scuola.” Ma dentro di sé sente che la loro famiglia non sarà mai più la stessa.

Fuori, la pioggia non smette di cadere. Nella sala operatoria, i medici coprono il corpo di Hatice con un lenzuolo bianco. E nel corridoio, Şirin si accascia contro il muro, stringendo il camice della madre ancora impregnato di sangue. Il suo urlo si perde nel rumore delle ambulanze, un grido che non è solo dolore, ma anche colpa, rimorso e follia.

Nel buio dell’ospedale, Bahar piange senza sapere perché. Il suo cuore la avverte: qualcosa è cambiato per sempre. E mentre il sole sorge timido su Istanbul, la vita di tutti loro — Bahar, Şirin, Enver, Arif — si spezza in due: prima e dopo Hatice.

Un silenzio irreale cala sull’alba. Il dolore ha vinto, e la notte non è ancora finita.